|FRI, 19 May|
BOHREN & DER CLUB..

sPAZIO211 presenta

BOHREN & DER CLUB OF GORE

Mimetici, anti-descrittivi, danze doom-jazz al termine della notte! Partiti in origine come oscura formazione di pionieri del doom-metal, i Bohren & der Club Of Gore si sono reinventati quartetto ambient-jazz, tra ambient ed esistenzialismo noir, rivelandosi fin da subito come uno dei nomi imprescindibili per i proseliti delle sfumature notturne più fosche.

VENERDÌ 19 MAGGIO 2023
sPAZIO211 – Via F. Cigna 211
Apertura porte h. 21

Biglietto: in prevendita eu 20 + DDP / alla porta eu 25
POSTI LIMITATI
Biglietti disponibili su DICE a questo link

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Fondati nel 1988 nell’immaginario di Mülheim an der Ruhr, nel cuore del bacino industriale tedesco, non molto lontano da quella Düsseldorf che diede i natali a Kraftwerk e Deutsch-Amerikanische Freundschaft, assumono sin dall’inizio pieghe fosche e fascinosamente frastagliate: conosciutisi tra i banchi di scuola, il batterista Thorsten Benning, il bassista Robin Rodenberg, il chitarrista Reiner Henseleit e il pianista Morten Gass, condividendo la passione per le frange più estreme del metal (dal grindcore passando per il doom-metal), decidono di unire le proprie forze in un progetto che non soltanto assecondasse queste pulsioni, ma desse loro nuova linfa, ne rafforzasse il messaggio conducendolo verso altre coordinate.
Non necessitano di molto tempo i quattro, raccolti inizialmente sotto la sigla Bohren (vocabolo traducibile in italiano con un alquanto onomatopeico “trapanatura”) per impegnarsi nel loro primo parto discografico nel 1993 con il cambio di nome definitivo Bohren & Der Club Of Gore, in cui si prefigura già quella morbosità tra il sensuale e il fatale, quegli accostamenti dal fascino macabro, quella strategia della tensione visiva che giustappone categorie semantiche di difforme natura in un quadro unitario. E se ancora era davvero presto per poterne parlare, già si aggirava nei paraggi il germe della consapevolezza jazz.
 
Sulla strada di un progressivo smarcamento dalla fosca cappa heavy, il primo full-length dei Bohren & Der Club Of Gore, dall’esemplare titolo Gore Motel, arriva puntuale bruciando ancora ulteriormente le tappe verso un completo affrancamento, verso l’agognata personalizzazione: i dodici brani inclusi si stagliano come piccoli scrigni d’atmosfera, ispidi racconti di notturna poesia, trasfigurata in oscuro palpitare noir, cromie sature all’inverosimile, movimenti lenti e calcolati, chiaroscuri in perpetuo sfumare.
Il salto in avanti effettuato con Midnight Radio è a dir poco strabiliante: non più le copiose colate di magma degli inizi, nemmeno la fumosa oscurità del primo album, ad affiorare nelle due ore e ventitré minuti di un doppio album dalle colossali sensazioni è una rarefazione estrema, un lavoro di sottrazione elevato a stato dell’arte, l’elogio alla lentezza nella sua forma più pura.
È musica d’ambiente sì, ma di un ambiente che non si dimentica delle vastità dell’anima, che ne rende palese la carica immaginativa: i passaggi lentissimi, la flemma a dir poco catatonica degli strumenti, un certo che di sonnambulo nei dosati ma accuratissimi contributi di tastiera di Morten Gass, descrivono l’itinerario ideale per abbandoni solitari, fughe insonni alla ricerca della più completa evasione, attraverso spazi in stato di morte apparente.
 
Ci vorranno ben cinque anni, affinché il frutto di questa sete di evoluzione venga reso pubblico. Cinque anni, in cui l’organico della band subisce apparentemente piccoli, ma profondi cambiamenti. Nel 1996, Reiner Henseleit decide infatti di lasciare il gruppo e con sé non parte soltanto un pezzo della band, ma se ne va per sempre la chitarra, quelle sgranature doomy che avevano costituito in buona misura l’iniziale “notorietà” della formazione.
Ad entrare in pianta stabile nelle fila dei Bohren è nel 1997 Christoph Clöser, compositore e polistrumentista di stanza a Colonia, versatile nel pianoforte e nel sassofono: i richiami al jazz erano da sempre nell’aria, e con l’ingresso dello strumento jazz per eccellenza in formazione, i richiami diventano ben più che allusioni, cominciano a scalpitare per reclamare il proprio spazio.
Da qui a poco vede la luce Sunset Mission, un humus artistico perfettamente congeniale al quintetto: non ci saranno più gli accordi di Henseleit a turbare il quadro generale, ma il nuovo assetto tiene ben testa al credo iniziale, lo ridefinisce anzi in termini d’intensità e lirismo, facendolo sfociare in evocative visioni dal taglio badalamentiano.
Un paragone, quello con l’autore della soundtrack di “Twin Peaks”, che da lì in poi verrà sovente utilizzato: nel loro ennesimo, vibrante flusso sonoro, Rodenberg e soci imbastiscono la loro personale interpretazione in musica per un film mai girato, ma di cui è sempre affascinante provare a decifrare le immagini: lunghi ed estesi piani sequenza, ombre torbide a invadere la scena, personaggi languidi, quasi annientati dalle proprie passioni, e quel sassofono, a dettare i momenti più drammatici, di maggior trasporto della pellicola.
Passano questa volta solo due anni e Black Earth ricalibra nuovamente il tiro ponendosi su un piano fortemente mentale, un vuoto di speranze tradite, una danza lugubre eppure dolcissima in direzione dell’ultima catarsi, di un tramonto irreversibile di anima e significato.
Mai rovina nichilista ebbe colonna sonora più raffinata.
 
I “Bohren” si ripresentano nel 2005 con Geisterfaust, un’altra opera che arricchisce l’ensemble di tuba e vibrafono, nella quale il clima è austero e claustrofobico, ogni emozione congelata.
Nel 2008 pubblicano Dolores e da collettivo crossover, i Bohren sembrano aver completato il trapasso nei panni del jazz ensemble tout-court.
Due anni più tardi, l’appuntamento con la saga Bohren è rinnovato da Beileid, con il primo contributo vocale in assoluto nel curriculum della band, per giunta con un interprete di prima scelta quale Mike Patton.
L’ennesima dimostrazione della classe che accompagna da sempre il progetto giunge all’aprirsi degli anni Venti, cinque anni dopo “Piano Nights”, con Patchouli Blue, disco che restituisce l’immagine di una band solida nei suoi intenti, per la quale il tempo, o anche la stessa composizione del suo organico, sembrano essere concetti relativi. Privi del contributo del batterista e co-fondatore Thorsten Benning, i tre rimasti non hanno perso una cifra del loro fumoso impatto atmosferico, sopperendo alla sezione ritmica con classe sopraffina e irrobustendo, ancor più di quanto fosse preventivabile, il tono evocativo delle composizioni.
Artefici di un universo di rara consistenza evocativa, i Bohren & Der Club Of Gore continuano a firmare le impossibili colonne sonore di un mondo sull’orlo dello sfacelo, ammantandolo di una disturbante voluttuosità.
Immaginate un thriller in cui sembra sempre che stia per succedere qualcosa ma poi alla fine non succede nulla. O un horror in cui la carneficina è sempre dietro l’angolo ma non muore mai nessuno. Un Dario Argento senza sangue o un Twin Peaks fatto solo di scenografie deserte senza gli attori. Patchouli blue è musica per ascensori lentissimi che non smettono mai di scendere, musica per un night club frequentato da assassini solitari ingarbugliati nelle loro ossessioni.
A che punto è la notte, si chiedeva il titolo di uno dei gialli più belli di Fruttero e Lucentini.
A sentire Bohren & Der Club of Gore l’alba è ancora molto, molto lontana, e a più di un quarto di secolo dall’esordio, la compagine tedesca non manca di comprovare il suo grandioso, angosciante, estro noir.